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Uno dei problemi più frequenti durante la fase di fermentazione è rappresentato dal blocco della stessa o dal suo rallentamento.
Le cause dell’interruzione della fermentazione sono da ricercare nella composizione del mosto. Infatti, questo è ricco di zuccheri, ma relativamente povero di sostanze azotate. Come già detto, i lieviti si nutrono di zuccheri, ma non solo; a sostenere la loro attività ci sono anche le sostanze azotate. Queste però, spesso (molto più spesso di quanto accadeva in passato), non sono presenti in quantità sufficiente da supportare i lieviti durante tutta la durata della fermentazione. Ecco quindi che, venendo a mancare il sostentamento, rallentano o si bloccano fermando a loro volta la fermentazione.
Trattandosi di un inconveniente abbastanza diffuso e molto frequente, vi sono diverse possibili soluzioni da adottare.
Tutte consistono nell’uso di integratori da aggiungere al mosto. Il più utilizzato è il biammonio di fosfato, che è consentito dalla legge in proporzione di 200 grammi per ettolitro.
Altre soluzioni sono rappresentate dall’aggiunta di estratti di lievito, peptone e composti affini. Tuttavia, sono poco consigliabili per via dei costi relativamente alti e quindi scarsamente convenienti.
Se si parla di produzione propria, e pertanto da non destinare al commercio, non vi sono vincoli particolari. Si potrà decidere di utilizzare estratti di lievito o peptoni, ma il consiglio è sempre quello di impiegare dei Sali nutritivi studiati appositamente per l’enologia e per la ripresa della fermentazione.
L’ossidazione del vino consiste nelle cosiddette rotture ossidasiche, che possono determinare cambiamenti di colore del vino inficiando il lavoro di mesi.
Limitare questa problematica è possibile grazie all’utilizzo dell’anidride solforosa, che combatte anche la formazione di batteri acetici e lattici. Questa può essere aggiunta al mosto in quantità che non superino i 50-100 mg per litro.
Le modalità attraverso le quali è possibile aggiungere l’anidride solforosa consistono nell’utilizzo di dischetti di zolfo da bruciare nelle botti, nell’impiego di bombole con il gas compresso, nell’utilizzo di soluzioni concentrate e più comunemente nell’aggiunta al mosto del potassio metabisolfito.
Quest’ultima è la pratica più utilizzata, in primis perché si tratta di composti facilmente reperibili nei negozi specializzati in articoli per l’enologia, e in seconda istanza perché consentono di liberare una buona quantità di anidride solforosa.
L’impiego di uno di questi metodi non costituisce un obbligo per i piccoli produttori casalinghi, i quali tuttavia, in questo caso, non possono mettere in nessun modo il loro prodotto in commercio. È però da tenere presente che ogni fermentazione alcolica produce una quantità di anidride solforosa che può essere molto variabile. Ne consegue che ogni bevanda alcolica non è immune dal contenere questo gas.